Religione
Discriminazioni per religione e convinzioni personali
L’art. 8, primo comma, della Costituzione afferma che «tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge» e, nei commi successivi, stabilisce un sistema di accordi volti a regolare i rapporti tra Stato e confessioni religiose diverse da quella Cattolica, nel rispetto dell’ordinamento italiano. In linea con il principio, l’art. 19 della Costituzione stabilisce che «tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».
Rafforza il principio il Testo Unico sull’immigrazione all’art. 43, che delinea quale discriminazione «ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata […] sulle convinzioni e sulle pratiche religiose e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica».
Il legislatore italiano, quindi, ha espresso un giudizio di disvalore con riguardo alla discriminazione religiosa; tuttavia, nell’attuazione della Direttiva 2000/78/CE, il D.lgs. 216/2003 ha riportato anche la deroga prevista per le organizzazioni di tendenza.
Nello specifico l’art. 4 par. 2 della Direttiva è stato trasposto nell’art. 3 co. 3 e co. 5 del decreto. Questi due commi permettono la deroga al divieto di discriminazione per motivi religiosi ma l’orientamento prevede una posizione più rigorosa rispetto a quello comunitario.