Etnica
Discriminazioni basate sull'etnia o provenienza
La Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (adottata il 21.12.1965) chiarisce all’art. 1 che «l'espressione "discriminazione razziale" sta ad indicare ogni distinzione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica».
Per la legge italiana, la discriminazione su base etnica etnica è qualsiasi “comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, la convinzione e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica.” (art. 43 del D.lgs. n. 286/1998).
La discriminazione comprende, dunque, qualsiasi azione o comportamento che abbia l’intento di trattare in maniera diversa una persona in base al colore della propria pelle.
Nota: il Decreto Legge 22 aprile 2023, n. 44 dispone all’art. 27 bis, comma 1, rubricato “Disposizioni in materia di atti e documenti della pubblica amministrazione” che «A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, negli atti e nei documenti delle pubbliche amministrazioni il termine: «razza» è sostituito dal seguente: «nazionalità»». Per la scienza, infatti, oggi è scorretto parlare di «razze umane» poiché sotto il profilo biologico non è possibile identificare un individuo sulla base di un marcatore genetico che possa dividere l’umanità in razze.
Esempi concreti
Il concetto del radicamento territoriale viene sempre più spesso utilizzato negli ultimi anni dagli Enti Locali specie con riferimento all’accesso a prestazioni sociali e servizi quali appunto l’edilizia residenziale pubblica.
Tale scelta ha generato, invero, un notevole contenzioso sia in sede civile che costituzionale.
Alcune PA ed EE.LL. hanno adottato Regolamenti contenenti la previsione di uno specifico punteggio assegnato sulla base dell’anzianità di residenza in un determinato territorio.
Il predetto requisito, infatti, può comportare una discriminazione indiretta per tutti quelli che, nella maggior parte dei casi stranieri, sono solitamente residenti da minor tempo rispetto a chi è nato e cresciuto in quello stesso Comune.
La discriminazione che può derivare da questo meccanismo è così evidente che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 44/2020 è intervenuta chiarendo in modo definitivo che sono illegittimi i requisiti della richiesta di una residenza quinquennale così come ogni altro analogo meccanismo che possa determinare una discriminazione nell’accesso a un bene o a un servizio pubblico da parte di cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.
L’adozione da parte di un Comune di un Regolamento per accedere al cd Bonus Bebè (un incentivo economico per le famiglie con bambini piccoli) che prevedeva, tra i requisiti per l’accesso a tale contributo, il possesso della cittadinanza italiana da parte di uno dei genitori compresi nel nucleo familiare è in contrasto con l’art. 43, comma 2) lett. c) del T.U. Immigrazione che vieta l’apposizione di condizioni più svantaggiose o il diniego “all’accesso all'occupazione, all'alloggio, all'istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità”.
Il suddetto requisito è illegittimo in quanto discriminatorio, ai sensi del D.Lgs. n. 215/2003, nei confronti di tutte quelle famiglie regolarmente soggiornanti sul territorio comunale, sebbene prive della cittadinanza italiana per la sola condizione di stranieri degli stessi.
L’introduzione da parte di una federazione sportiva nazionale di una tassa aggiuntiva per le società che decidano di tesserare atleti stranieri, e non prevista in caso di atleti di cittadinanza italiana, determina una situazione di discriminazione tra italiani e stranieri, sia comunitari che extra UE, a parità di condizioni, che viola così il principio di parità di trattamento.
In materia di apertura di un conto corrente, l’art. 126-noviesdecies T.U.B. espressamente dispone che istituti di credito e Poste Italiane siano tenuti a offrire un conto di pagamento denominato "conto di base" nei confronti di tutti i consumatori soggiornanti legalmente nell'Unione europea, senza discriminazioni e a prescindere dal luogo di residenza.
Per consumatore soggiornante legalmente nell'Unione Europea si intende chiunque abbia il diritto di soggiornare in uno Stato membro dell'Unione europea in virtù del diritto dell'Unione o del diritto italiano, compresi i consumatori senza fissa dimora e i richiedenti asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati, del relativo protocollo del 31 gennaio 1967 nonché ai sensi degli altri trattati internazionali in materia.
I richiedenti asilo hanno diritto all’apertura di un conto corrente di base anche in attesa del rilascio del permesso di soggiorno definitivo, qualora muniti della ricevuta rilasciata dalla Questura.
Un eventuale rifiuto di apertura del conto corrente di base nei confronti di un richiedente asilo, privo del permesso di soggiorno definitivo, ma comunque in possesso della ricevuta munita di fotografia rilasciata dalla Questura assumerebbe profili discriminatori ex artt. 43 e 44 D.Lgs. n. 286/1998.
Anche l’utilizzo di un linguaggio razzista può configurare una discriminazione, come nel caso di un foglio illustrativo (cd. bugiardino) di un farmaco che utilizza il termine “pazienti di razza nera”. Alla luce del significato razzista e discriminatorio che l’utilizzo del termine “razza nera” assume, nonché dell’obsolescenza scientifica di tale linguaggio, l’UNAR è intervenuto per richiedere alla società farmaceutica produttrice e all’AIFA la sostituzione della parola razza con termini come “popolazione e/o etnie”, che non presentano una connotazione razzista.