Cos'è una discriminazione

Il principio di non discriminazione

L’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ossequio al contenuto dell’art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 («Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione») dispone che : «1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali. 2. Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull'Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi».

In Italia, il principio di non discriminazione è contenuto in numerose fonti normative interne, primo fra tutte l’art. 3 della Costituzione italiana, che sancisce il principio di eguaglianza in senso formale (comma 1) e sostanziale (comma 2).

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»

Principio di parità di trattamento

La Direttiva del Consiglio n. 2000/43/CE del 29 giugno 2000, recepita con il Decreto legislativo n. 215 del 2003, attua il principio della parità di trattamento fra le persone, indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.

La Direttiva del Consiglio n. 2000/78/CE del 27 novembre 2000, recepita con il Decreto legislativo n. 216 del 2003, amplia il quadro di tutela, introducendo il principio alla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. Dispone l’art. 1: «La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

Il principio di parità di trattamento, senza distinzione di religione, convinzioni personali, disabilità, età, nazionalità e orientamento sessuale, si applica a tutte le persone nei settori pubblico e privato. Questo principio è tutelato giuridicamente e riguarda:

a) Accesso all'occupazione e al lavoro, criteri di selezione e condizioni di assunzione;

b) Condizioni di lavoro, avanzamenti di carriera, retribuzione, licenziamento, salute e sicurezza, reintegro professionale;

c) Accesso all'orientamento e formazione professionale, inclusi tirocini;

d) Affiliazione e attività nelle organizzazioni di lavoratori, datori di lavoro o altre organizzazioni professionali;

d-bis) Accesso all'alloggio;

d-ter) Accesso a vantaggi sociali e fiscali;

d-quater) Assistenza fornita dagli uffici di collocamento;

d-quinquies) Iscrizione alle organizzazioni sindacali ed eleggibilità negli organi di rappresentanza dei lavoratori.

Inoltre, la normativa mantiene le disposizioni esistenti riguardanti l'ingresso, soggiorno e accesso all'occupazione per cittadini di Paesi terzi e apolidi, sicurezza e protezione sociale, sicurezza pubblica, stato civile e prestazioni relative, e forze armate (limitato a età e disabilità).

I Decreti legislativi n. 215/03 e 216/03 sono stati modificati dal D.L. 59/2008 (L. 101/98) e dal D.Lgs. 01.09.2011, n. 150.

Discriminazione e molestie

Si ha una discriminazione diretta quando, per la nazionalità o l'origine etnica, orientamento sessuale o identità di genere, religione o convinzioni personali, disabilità, età una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in situazione analoga.

Si ha una discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.

La legge vieta e sanziona, come ulteriori forme di discriminazione, le molestie, che ricorrono ogni qualvolta vi sia un comportamento indesiderato avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo.

La discriminazione istituzionale si verifica quando le regole, le prassi e le procedure interne adottate da una Pubblica Amministrazione fanno sì che individui o gruppi siano sistematicamente svantaggiati.

La discriminazione multipla o intersezionale si verifica quando una persona presenta diverse caratteristiche che la rendono particolarmente esposta ad atti discriminatori. Tali caratteristiche possono includere il sesso, una disabilità, il colore della pelle o un background migratorio. Queste persone corrono il rischio di essere esposte a discriminazioni plurime e in contesti diversi, oppure le diverse caratteristiche insieme provocano una discriminazione più marcata e più frequente.

La discriminazione multipla è, in particolare, una situazione in cui una persona sperimenta una discriminazione in base a due o più fattori, e ciò comporta una discriminazione aggravata. Tra i motivi di discriminazione, l’età, la disabilità, l’origine etnica, indigena, nazionale o sociale, l’identità di genere, l’opinione politica o di altro genere, la razza, lo status di rifugiato, lo status di richiedente asilo o migrante, la religione, il sesso e l’orientamento sessuale. La discriminazione intersezionale indica, invece, una situazione nella quale i diversi motivi di discriminazione si influenzano reciprocamente, diventando così inseparabili: gli individui non subiscono discriminazioni come membri di un gruppo omogeneo ma, piuttosto, come individui con strati multidimensionali di identità, stati e circostanze della vita.